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The Dirty Little Secrets of Search Di David Segal, The New York Times. Un articolo, ricco di documentazione, tratto dal New York Times, sul successo e la caduta di JCPenney nei risultati di Google, a cavallo tra il 2010 ed il 2011. Con più di 1100 punti vendita e quasi 18 miliardi di dollari di profitti nel 2010, Penny è certamente uno dei maggiori marchi nella distribuzione al dettaglio. Per mesi, l'azienda ha superato milioni di siti. Per mesi, la si trovava nelle prime posizioni ( se non in cima, addirittura ) nelle ricerche Google per chiavi di ricerca quali “skinny jeans,” “home decor,” “comforter sets,” “furniture”, “dresses”, “bedding”, “Area rugs” e dozzine di altre parole o frasi, a partire dalle più generiche ( “tablecloths” ), fino ad arrivare alle più specifiche ( “grommet top curtains” ). Queste impressionanti prestazioni sono durate mesi, in particolare nei periodi festivi, quando lo shopping online raggiunge i picchi più elevati. J. C. Penney ha battuto anche i siti dei produttori manifatturieri nelle ricerche che richiedevano i prodotti di quei produttori. Se provavate a cercare “Samsonite carry on luggage”, per esempio, per mesi Penny è apparso il primo della lista, davanti allo stesso dominio Samsonite.com. Davvero la saggezza collettiva del Web riconosce Penney come il sito più importante quando si tratta di vestiti ( dresses )? E di biancheria ( bedding )? E di tappeti ( area rugs )? E di dozzine di altre parole o frasi chiave? Lo scopo dichiarato di Google non dovrebbe essere quello di setacciare ogni angolo di Internet per scovare i siti web più rilevanti ed importanti? The New York Times ha rivolto questa domanda ad un esperto di ricerche online ( ed alle tematiche SEO, o Search engine optimization ), Doug Pierce di Blue Fountain Media a New York. Ciò che questo signore ha scoperto suggerisce che il più banale gesto dell'era digitale, la ricerca su Google, rappresenti, spesso, una sequenza di intrighi. E gli intrighi iniziano in quel mondo, in espansione continua e sotterraneo, di tecniche di ottimizzazione definite “black hat” ( tecniche che puntano ad ottenere un alto posizionamento nei motori di ricerca in modo non etico ), l'arte oscura di migliorare il profilo di un sito web con metodi che Google stesso considera equivalenti ad un imbroglio.
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